Storia della pasta

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Storia della pasta

La pasta fresca, semplicissimo miscuglio di farina e acqua (oppure uova), è di sicuro una delle colonne portanti dell’alimentazione italiana. Ma c’è di più. L’impastare è anche uno dei gesti che più ci riconcilia col mondo e che porta via pensieri, stress e fatica: dare forma a due ingredienti di per sé inconsistenti per farne qualcosa di buono, magari da condividere con le persone che amiamo. Anche (e soprattutto) nell’ambito della vita frenetica che noi tutti oggi conduciamo, l’idea di prenderci del tempo -e non poi così tanto- per fare la pasta in casa può essere foriera di quel giusto riappropriarsi di una serenità accantonata e di una convivialità desiderata. Anche perché, naturalmente, ognuno di noi a casa propria ha la ricetta della pasta fresca “quella vera”.

Ma cos’è esattamente la pasta fresca?

Una legge del 1967 la definisce come il risultato di una serie di operazioni tecniche applicata a una miscela di farina di grano tenero o semola di grano duro con acqua o altra sostanza più o meno liquida, in particolare le uova. Si definisce “fresca” poiché contiene fino al 30% di umidità.

ORIGINI

Gli storici dell’alimentazione concordano nel ritenere che una poltiglia di sfarinato e acqua sia alla base dell’alimentazione umana a livello mondiale. Tuttavia, la pasta fresca così come noi la conosciamo (impasto, formatura e bollitura) è nata e si è sviluppata autonomamente lungo due filoni: quello asiatico e quello mediterraneo.

Concentrandoci sul nostro versante, la pasta ha preso forma dalla puls, la polenta, che si è dapprima evoluta in gnocco per poi assumere strada facendo le varie forme che oggi conosciamo. Il termine “pasta” potrebbe derivare dal greco πάστα, che indica un impasto di “farina con salsa”. Oltre all’influsso greco-romano, occorre citare il filone arabo: il primo ha infatti dato vita alla lagana, la pasta in sfoglia, il secondo alla tria, la pasta secca e di forma allungata.

Le prime tracce storiche di una certa importanza possono essere ricondotte alla tomba etrusca “dei Rilievi” rinvenuta a Cerveteri, dove sono raffigurati utensili molto simili a quelli che ancora oggi utilizziamo per formare la pasta: rotelle, mattarelli e coltelli che ne indicherebbero un uso già diffuso presso gli Etruschi. Probabilmente trattavasi di pasta a base di farro, il cereale più antico utilizzato in Europa.

pasta sfoglia

Storia:  Dal 1100  al 1400  
Le prime due date certe nella storia della pasta in Italia sono: 1154, quando in una sorta di guida turistica ante litteram il geografo arabo Al-Idrin menziona “un cibo di farina in forma di fili”, chiamato triyah (dall’arabo itrija, che sopravvive nella lingua moderna e deriva dalla radice tari = umido, fresco), che si confezionava a Palermo e si esportava in botti in tutta la penisola (in Sicilia oggi si trovano ancora la tria bastarda e i vermiceddi di tria; nel Salento la massa e tria e i ciceri e tria; nell’area barese c’è la tridde, diminutivo di tria); e 1279, quando il notaio genovese Ugolino Scarpa redige l’inventario degli oggetti lasciati da un marinaio defunto, tra i quali figura anche una “bariscela plena de macaronis”. Sappiamo che Marco Polo tornò dalla Cina nel 1295: viene così sfatata la leggenda che sia stato lui ad introdurre la pasta (quella conosciuta in Cina, peraltro poco aveva a che vedere con quella di grano duro tipica del nostro paese) in Italia.

Furono gli Arabi del deserto ad essiccare per primi le paste per destinarle a una lunga conservazione, poiché nelle loro peregrinazioni non avevano sufficiente acqua per confezionare ogni giorno la pasta fresca. Nacquero così dei cilindretti di pasta forati in mezzo per permettere una rapida essiccazione. Quando? Il più antico documento è costituito dal libro di cucina di ‘Ibn ‘al Mibrad (IX sec), dove appare un piatto comunissimo tra le tribù beduine e berbere, ancor oggi conosciuto in Siria e in Libano: si tratta della rista, cioè maccheroni essiccati conditi in vario modo, ma soprattutto con lenticchie.

Storia:  Dal 1400  al 1500  
Bartolomeo Sacchi, detto Platina, storiografo e prefetto della Biblioteca Vaticana, scrisse nel 1474 un ricettario noto col titolo abbreviato De Honesta Voluptate, in cui si accenna all’essiccazione per conservare la pasta: “Desicata al sole tale vivanda durara per duo et etiam tre anni. Maxime se dil mese d’agosto sara ipastata. Se cum luna crescente ipastati.” In tempi di magro, Platina consiglia di servire i vermicelli “cum zucharo”.

Il clima secco e ventilato della Liguria, della Sicilia e della Campania (in particolare a Torre Annunziata e a Gragnano) favorirono la produzione della pasta, che per secoli venne lasciata essiccare tramite semplice esposizione all’aria.

Successivamente, il norditalia dove il clima era meno propizio inventò la giostra, cioè un marchingegno di legno formato da un asse centrale verticale per sostenere i telai con le paste corte o in matassa o le canne con la pasta lunga. La giostra si trovava in un locale riscaldato e girava utilizzando forza motrice idrica o animale.

Il mitico “sposo” della pasta, il pomodoro, arrivò in Italia dal Perù nel 1554, ma la coltivazione su larga scala ebbe inizio solo nel XVII secolo. La pasta col pomodoro nasce quindi “appena” quattro secoli fa.

Etimologia di “semola”: viene dal latino simila = farina di grano, che a sua volta è una corruzione del greco semidalis, proveniente forse dall’egiziano o comunque da un idioma mediterraneo non indoeuropeo.

Nel ‘500 i maestri di paste alimentari, trapiantati ormai in tutt’Italia, cominciano a fare quello che i mugnai o fornai avevano già fatto da secoli: si riuniscono in sodalizi di mestiere. Troviamo corporazioni di pastai a Roma, Napoli, Palermo, Milano, Savona. Nelle città dove tale arte era meno fiorente, i pastai si immatricolavano insieme con i fornai. A Roma regna un’atmosfera “protezionista”. Per chi vende pasta senza essere un fornaio sono previste forti multe e pene corporali: sino a 25 scudisciate, tratti di corda, prigione e berlina.

Storia:  Dal 1600  al 1800
Nel XVII secolo erano talmente tante le botteghe dei vermicellai, che Urbano VIII, nel tentativo di regolare il commercio della pasta, in una bolla papale del 1641 impose una distanza minima di 24 metri tra un negozio e l’altro.

Fino alla seconda metà del XVIII secolo l’impasto della semola con l’acqua veniva effettuato con i piedi. Questo metodo fu felicemente utilizzato fino a quando Ferdinando II, re delle Due Sicilie dal 1830 al 1859, incaricò lo scienziato Cesare Spadaccini di inventare un processo meccanico.

I primi torchi idraulici comparvero intorno al 1870. Il processo di meccanizzazione fu graduale. Verso la fine del secolo scorso il processo di fabbricazione della pasta fu più o meno meccanizzato, con macchine mosse dal vapore o dall’energia idraulica. La prima macchina in grado di eseguire tutte le parti del processo produttivo fu brevettata nel 1933.

Sebbene il processo di fabbricazione sia enormemente mutato attraverso gli anni, il prodotto è rimasto sempre la stessa semplice miscela di semola di grano duro e acqua. Mentre la pasta fresca viene preparata anche con farina di grano tenero, per la pasta secca in Italia si utilizza esclusivamente semola di grano duro. Grano duro e grano tenero sono due varietà del cereale più diffuso nel mondo: il frumento. In Italia si coltivano entrambi: il primo è più diffuso nelle regioni meridionali ed in particolare in Puglia, il secondo ha una migliore produttività in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. La differenza tra semola di grano duro e farina di grano tenero é importantissima. Anche la legge italiana la rileva, stabilendo che per produrre pasta secca si può usare soltanto semola di grano duro. Questo perché la semola di grano duro contiene quel glutine tenace che permette alla pasta secca di tenere la cottura e di restare al dente.

Per saperne di più:
Alle origini della pasta, una storia lunga 3000 anni – Dagli Etruschi ai nostri giorni, un affascinante e misterioso excursus spazio temporale per il cibo più amato dell’era globale, le cui origini si perdono nella notte dei tempi.
1952 – 2002: L’evoluzione della pasta da “unico piatto” a “primo piatto”, a “piatto unico” Sei decenni di storia italiana per un excursus culturale, gastronomico e nutrizionale sul piatto nazionale per antonomasia. Ecco come è cambiata, sulle tavole del Belpaese, l’abitudine degli italiani alla pasta: da unico sostentamento, negli anni della grande fame, ad apripista dei menù negli anni del boom economico, a pasto completo, pratico e versatile, di inizio millennio.
Nord,Centro, Sud: Di che pasta siamo?
Un dossier per conoscere storia, consumi, formati, ricette tipiche e d’uso quotidiano della “regina” delle tavole degli italiani.

 

Fuente: web unipi

 

 

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