Cucina giapponese: Cucina shōjin. Il pasto salutare dei monaci buddhisti

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Cucina giapponese: Cucina shōjin. Il pasto salutare dei monaci buddhisti

Cucina giapponese: Cucina shōjin. Il pasto salutare dei monaci buddhisti.

La cucina shōjin, uno stile culinario praticato nei templi zen durante la dinastia cinese Song (960-1279), fu introdotta in Giappone dai monaci circa 700 anni fa. Presso il tempio buddhista Daitokuji, il pranzo dei monaci apprendisti, consiste in una ciotola di riso e orzo bolliti, una zuppa e delle verdure bollite (schema basato su una zuppa e un elemento di contorno). I tre pasti della giornata sono umili e appena sufficienti per non soffrire la fame. Anche i pasti e la preparazione del cibo sono considerati una parte del percorso di apprendimento dei monaci. La cucina honzen, è invece una versione di cucina shōjin consumata dai daimyō (signori feudali), dai maestri del tè
e dai ricchi mercanti che si recavano al Daitokuji per praticare lo zen, dalla fine del periodo Muromachi (1337-1573) fino al periodo Edo. A differenza del comune menù composto solo da verdure, includeva anche tōfu, yuba (caseina di soia), namafu (conosciuto anche come seitan, alimento ricavato dal glutine di grano tenero), nattō (soia fermentata) e altri cibi lavorati; era una versione più ricca della cucina shōjin ed era rivolta alla gente comune. A volte i daimyō stessi portavano gli ingredienti da utilizzare per i banchetti delle cerimonie funebri e davano disposizioni agli inservienti del tempio affinché li cucinassero. Ancora oggi è possibile gustare lo stesso sapore di allora presso il ristorante Daikokuji Ikkyū, che ha servito per secoli il tempio Daikokuji. L’aspetto di un pasto honzen è molto più ricco di un normale pasto di un tempio, ma conserva l’essenza della cucina shōjin, cioè quella di esaltare ciascun ingrediente senza fare sprechi. Si pensa che la cucina honzen abbia anche influenzato la successiva cucina chakaiseki,
ideata dai maestri della cerimonia del tè.

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